per ICE, Garden festival di Glasgow, REALIZZATO, opera temporanea, secondo premio nella competizione internazionale
Al Garden Festival di Glasgow 1988 ho avuto il mio battesimo del fuoco. Era atteso un pubblico di ben quattro milioni di visitatori da tutto il mondo. Allora non sapevo nulla di cosa mi aspettasse, l’occasione era di grande importanza e i mezzi a disposizione molto limitati: delle piante piuttosto belle e poco più, laconiche consegne, una lista di florovivaisti e un compito, esporre e valorizzare con un Giardino italiano la nostra produzione in un contesto molto competitivo. Mi aiutò Giovanni Posani che mi aveva dato l’incarico. Conosceva bene la storia dei giardini e mi disse che fra le piante a mia disposizione ce ne erano molte che non solo erano care ai cultori inglesi ma che erano stati proprio loro, gli inglesi, a valorizzarle nei loro soggiorni in Italia, e a definirle come ambiti tematici letterari. Questo già probabilmente a partire dal Seicento, quando era d’obbligo nella formazione dei gentiluomini il Grand tour, da cui sarebbe nata una delle fonti più importanti del giardino all’inglese. Ma poi questo fenomeno è diventato così importante da essere una fonte di ispirazione per il giardino italiano stesso, soprattutto fra l’Ottocento e il Novecento. Detto e fatto, disponevo di un ottimo supporto logistico nell’ICE che era l’ente promotore e di una piccola equipe che lavorò a meraviglia, Fabio Di Carlo e Silvia Falconi, con i quali componemmo quattro stanze ognuna per un genere di quella epopea: il Giardino dei Laghi, il Giardino della Riviera, il Giardino Toscano e il Giardino del Sud. Costruimmo dei muri paralleli in compensato marino alti come il tetto di una macchina, in modo di definire bene gli spazi ma che permettessero di vedere tutto il giardino in una volta sola alzando lo sguardo. Poi li ricoprimmo di specchi, un rinvio senza fine delle immagini come quando siamo da un barbiere e a seconda di come le guardassimo le stanze si moltiplicavano o si percepivano nella loro vera grandezza. Per aumentare questo effetto materiale-immateriale, citammo Michelangelo Pistoletto, incollando sugli specchi delle icone traforate tratte da alcuni repertori del giardino storico italiano, una per tutte la Maschera di Bomarzo. Le teste dei muri alle loro estremità le risolvemmo con delle belle ceramiche bianche e nere di Enzo Mari. Poi il colpo di teatro, quando il pubblico si avvicinava i muri parlavano: la voce meravigliosa di Elena Da Venezia, mia madre, che leggeva Petrarca, la Callas, Salvatore Accardo che suonava arie di Tartini e canti di uccelli italiani. Un grande successo, il secondo premio. Solo molto tempo dopo seppi che il Festival era stato inaugurato dal Principe Carlo e da Lady Diana, all’epoca non sapevo neanche che esistessero. Lady Diana la vidi poi in fotografia, molto bella e di sublime eleganza, mi fece una grande impressione. ,