1994 – 2000, ROMA, Auditorium Parco della Musica

per Renzo Piano BW, Consulenza per urbanistica e spazi esterni,

per Comune di Roma, Valutazione di Impatto Ambientale 

L’Auditorium assume il paesaggio come uno dei suoi caratteri più specifici. Così alla sua prima inaugurazione questa architettura prende il nome di “Auditorium, Parco della Musica”. Fin dall’impostazione del progetto, durante il concorso, Renzo Piano ha impostato questo principio con la chiarezza di un teorema. Gli elementi primari di scala con cui confrontarsi erano il contesto geografico e urbano, le colline di Villa Glori e dei Parioli e la pianura alluvionale, il Quartiere Flaminio con l’asse romano fino a Ponte Milvio, il Quartiere Olimpico e i grandi dinosauri delle Olimpiadi del ’60, il Palazzetto dello Sport, lo Stadio Flaminio, il Viadotto di Nervi e Moretti. Tutti questi elementi sono stati recepiti appunto come caratteri fisici e umani di un paesaggio, nel quale i nuovi segni dovevano porsi alla stessa scala e con la stessa musicale frequenza. I tre gusci delle sale musicali come uniche emergenze, le due quote di Pilsudski e dell’Olimpico, tra le quali tutto il complesso è contenuto, come l’estensione in altopiano di un dislivello che già c’era, una foresta che “trascina” e prosegue la vegetazione delle pendici delle colline, lo scavo della grande cavea come apertura verso il quartiere, uno dei più belli della Roma moderna ma che trova solo qui uno spazio pubblico che lo rappresenti come una piazza. Solo tre strutture aeree, le sale, sono librate sulla foresta. Sono forme nate dalla loro funzione di casse armoniche, e proprio per questo “naturali”, zoomorfe e insieme minerali.
Fra questo ordine e le persone non vi sono segni intermedi, solo materiali e dettagli.

L’altra idea è quella urbanistica, l’Auditorium come fattore di rigenerazione, un nuovo principio di identità che unisce e connette la città. La nuova struttura occupa circa cinque ettari: uno per le sale, tre per il complesso, uno per la cavea. Tutte le coperture, tranne le sale, sono aperte al pubblico come un parco. Quattro ettari su cinque tornano alla città come un’agorà insieme centripeta e centrifuga. E’ opportuno ricordare che qui vi era degrado e abbandono, un parcheggio delle Olimpiadi semideserto il giorno e teatro di viados la notte, una sorta di lacuna nella continuità della città che disuniva fortemente i quartieri, circuito di traffico impenetrabile a piedi.

Il parco ha una relazione fisica e psicologica diretta con il quartiere: è facile da percorrere, in piano, sicuro, accessibile. La vegetazione spogliante si alterna alla sempreverde su una maglia costante che evidenzia diversità delle specie, in modo da avere una continua variazione di frequenze sullo stesso pentagramma. Questo avviene secondo un ordine chiaro, con una cintura sempreverde esterna e boschi decidui all’interno. Gli alberi in parte ripetono le specie già presenti attorno – lecci, allori, pinea, cipressi… -, in parte ne estendono la gamma – liliodendron, cercis, sughere, olivi… -. Grandi superfici erbose e di edera rafforzano la massa vegetale.

 

  

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