“La piazza meno manutenuta al mondo” dice Zagari ma, aggiungo, anche una piazza forte, che ha subìto il tempo con durezza e humour. Di piazza Matteotti conosco i tagli della pietra, i suoi mosaici, l’alternanza delle superfici e i loro riflessi, il controllo del disegno e la sua costruzione, i flussi, la gente, il vociare delle scolaresche la mattina, come quelle in tarda sera, la discussa Scaletta sulla quale a gara si occupavano i posti più in alto, l’accesso dal Tribunale con i suoi gradini “galleggianti”. La ricca e complessa grafia bicroma in nero assoluto d’Africa a strisce lucide e fiammate, e inserti in travertino bianco, uno spazio ottico cinetico definisce una passeggiata che sembra l’opera di un ebanista. Cadenze, movimenti e pause si susseguono come con una sequenza musicale. Spazialità instabili e mai ripetute richiamano e ricompongono l’intorno attraverso un forte timbro creando un carattere originale dove si alternano diversi temi nei quali la bellezza si dichiara mantenendo sempre dei margini di mistero, sensazione sulla quale mi sono interrogato spesso. Nel 1992 ero studente al primo anno di Architettura e quell’urlo mi ha trapassato. Piazza Matteotti ha rappresentato per la mia generazione di architetti del paesaggio che si andava formando un momento di crisi e di dibattito, che ci ha rivelato però che nuove visioni ed invenzioni contemporanee in Calabria potessero essere possibili. Il racconto era stratificato, denso, polemico, in maniera talmente sofisticata, difficile, dirompente che ne rivelava come l’esistenza di un’anima ineffabile parallela, accanto alle funzioni dello spazio celebrativo e conviviale.
Ero solito frequentare case di studenti più grandi di me e un giorno disegnando a casa di uno di loro, chiesi: “Senti Domenico: ma tu sai per caso chi sia l’autore di piazza Matteotti a Catanzaro? “Si” disse, “l’ha fatta l’architetto Franco Zagari … molto bella! Credo si tratti del tecnico del Comune”. “Ah, Però”, sorrisi, “La Calabria ha dunque un gran futuro!” Franco Zagari divenne per me un enigma da conoscere, indagare, studiare, capire. Una collezione di ritagli di articoli, fotocopie e progetti, che di volta in volta archiviavo, mi segue ancora oggi. Successivamente sono stati conferenze, viaggi, dottorato, didattica, ricerche, progetti, giardini ed altre avventure a legarci per molti anni. Un percorso inimmaginabile si è svelato nel tempo. A più di vent’anni di distanza (Agosto 2014), mi ritrovo a Roma nel suo studio e mentre disegno mi giro con la stessa curiosità di due decenni prima per chiedere nuovamente consigli a Domenico, impegnato sui file della riqualificazione ed ampliamento di Piazza Matteotti. Di là Zagari chiede inutilmente conto di quei suoi “disegni bellissimi” capolavori che Domenico disegna con tale quantità e frequenza che spesso li dimentica e li perde.
Mi capita spesso di incontrare conoscenti comuni, ex studenti, che mi chiedono: “E Zagari? … Come sta Zagari? ” Io li guardo e dico sempre la stessa cosa: “ Tranquillo, è sempre lì e sempre sul pezzo, e non ci dimentica”.